Difesa sindacale
 
     
 
 
 
 
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DEMOCRAZIA E RAPPRESENTATIVITÀ


Carmine Valente


La storia sindacale di questi ultimi anni è storia di accordi separati. Nel merito l’analisi degli accordi è stata fatta ed approfondita sia all’interno dell’organizzazione, sia al suo esterno. Quello che questa breve comunicazione ha il compito di affrontare è la comprensione delle strategie che stanno dietro questi accordi e soprattutto individuare i possibili strumenti utili a riconsegnare nelle mani dei lavoratori le decisioni che riguardano la loro condizione di lavoro; ovvero ristabilire, sarebbe più corretto dire, creare veri percorsi decisionali democratici.
Quello che ai più è evidente, per lo meno tra di noi e in larga parte anche nella CGIL, è che, soprattutto nelle vicende più recenti il motivo delle scelte subalterne e collaborazioniste assunte da CISL e UIL, sono state guidate sia da diverse impostazioni strategiche sindacali, sia, ma soprattutto, da scelte di natura politica. Gli attuali gruppi dirigenti di CISL e UIL con più determinazione dei loro predecessori, che pur avendo un’idea cogestiva del sindacato non scelsero la strada della rottura sindacale, oggi fanno una chiara scelta di campo e individuano nel Governo Berlusconi l’interlocutore privilegiato per tentare di chiudere definitivamente un periodo storico, nel tentativo di marginalizzare qualsiasi componente sociale ancora radicata a sinistra; operazione che oggi per potersi affermare ha bisogno di indebolire la forza e la capacità di resistenza che ancora rappresenta la CGIL, pur con le sue contraddizioni e i suoi ondeggiamenti.
Per contrastare questa deriva che ha sempre di più i connotati di una razionalizzazione reazionaria ed autoritaria, la strada maestra è quella di aprire senza fraintendimenti un ampio, articolato e lungo conflitto di classe che in ultima istanza imponga a governo, padroni, partiti politici di governo e d’opposizione, all’insieme delle organizzazioni che costituiscono la società civile, una nuova stagione che abbia come fulcro l’affermazione dell’uguaglianza sostanziale e non formale, cioè intesa come uguaglianza del punto di arrivo e non semplice concetto di pari opportunità al punto di partenza, che, dando sostanza e concretezza, ponga con determinazione la centralità dei diritti e dei bisogni dei lavoratori.
Ciò detto non è ininfluente analizzare più nel dettaglio quei meccanismi che dovrebbero garantire l’espressione democratica dei lavoratori sulle vicende che riguardano la loro vita lavorativa e le modalità atte a misurare la rappresentatività delle organizzazioni sindacali.
Nel merito crediamo che nella discussione che è necessaria aprire tra i sindacati e nel mondo del lavoro sui problemi della democrazia e della rappresentatività i nodi da affrontare siano quelli dei contenuti ancor prima delle modalità con cui questi contenuti si fissano, ed  è per questo che in  questa fase non ci appassiona molto la diatriba tra legge e accordo endosindacale mentre   riteniamo molto più utile riflettere sui limiti che anche esperienze indubbiamente più avanzate, come quelle dei settori pubblici, hanno.  In via preliminare bisogna osservare che ogni qual volta qualcuno comprime i meccanismi democratici “pro domo sua”, prima o poi questo rischia di rivolgerglisi contro. Il riferimento è a quelle clausole contrattuali e normative, volute anche dalla CGIL soprattutto per limitare l’influenza del sindacalismo autonomo e di base, che riconoscono come soggetti sindacali con prerogative negoziali e contrattuali, solo quelle organizzazioni sindacali firmatarie del Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro.  Tale norma che oggi  crea non pochi problemi alla stessa CGIL  obbliga, pena l’esclusione, alla firma, e ciò ha determinato e determina quelle alchimie sindacali che vedono sindacati rifiutare alcuni accordi, salvo poi apporre la firma tecnica. (In sostanza: “Non sono d’accordo, ma mi adeguo.” Che non è proprio il massimo della democrazia). Con tale meccanismo il riconoscimento del potere contrattuale non poggia sul livello di rappresentanza che ha il sindacato e sulla legittimazione che ad esso danno i lavoratori, ma dal riconoscimento delle controparti.


RAPPRESENTATIVITA’


Il contributo alla discussione sulla rappresentatività sindacale crediamo pertanto sia utile che parte proprio dalla stigmatizzazione di questa ferita democratica alla quale fa seguito l’altro meccanismo, proprio della norma che disciplina la rappresentatività nei settori pubblici, che individua  come soggetti sindacali riconosciuti solo le organizzazioni sindacali che a livello nazionale superano la soglia del cinque per cento. Tale norma è iniqua, non tanto perché fissa una soglia necessaria per essere considerati rappresentativi, quanto perché tale soglia è stabilita su base nazionale. Paradossalmente ciò può determinare che in un posto di lavoro un sindacato che rappresenta per numero di iscritti la totalità dei lavoratori, possa essere escluso dai tavoli contrattuali perché non raggiunge la soglia a livello nazionale. Riepilogando in merito alla rappresentatività pensiamo che una volta definita una soglia, che non può andare al di là del tre per cento, tale soglia deve essere assunta ad ogni livello di contrattazione, per cui si ha il diritto di essere presenti ad ogni livello di confronto sindacale nel quale si possa far valere il traguardo della soglia. L’abbassamento al tre per cento risponde alla necessità di garantire  criteri di pluralismo e di democrazia del lavoro, e per assicurare  la completezza nella rappresentazione di interessi legittimi. In considerazione che la maggior parte dei lavoratori non è iscritta ai sindacati e che gli accordi sottoscritti dai sindacati, così come consolidato nella nostra legislazione del lavoro, si applicano erga omnes, è indispensabile che la rappresentatività sia misurata non solo dal dato associativo, ma anche dal consenso elettorale conseguito nella elezione diretta dei rappresentanti dei lavoratori, espressi da tutti i lavoratori iscritti e non iscritti. Specificando che sono elettori e candidabili tutti i lavoratori al di là del rapporto giuridico di lavoro che hanno. Lavoratori a tempo indeterminato, tempi determinati, precari.     
Riteniamo pertanto indispensabile generalizzare in tutti i settori di lavoro il meccanismo di elezione delle RSU, superando definitivamente le quote di riserva così come derivate dagli accordi degli anni novanta. Una testa un voto, rappresentanza proporzionale. Definendo che  ai fini del calcolo della rappresentatività complessiva delle organizzazioni sindacali, per tutti i settori di lavoro, pubblici o privati, si prenda in considerazioni il solo dato elettorale. Valutando di inserire una soglia del due per cento come dato associativo sul complessivo dei lavoratori sindacalizzati come soglia indispensabile da affiancare ad ogni livello per essere riconosciuti come sindacati rappresentativi. Superando così l’attuale meccanismo che si basa sulla media del dato associativo e del dato elettorale.


DEMOCRAZIA


Definito come e chi rappresenta i lavoratori è necessario affermare con forza, soprattutto in questo periodo in cui CISL e UIL  hanno la tentazione di disdettare il Protocollo del 1993, che la democrazia sindacale è democrazia diretta e democrazia  di mandato. Il protocollo del 1993 fece piazza pulita della contingenza e aprì quella sciagurata stagione della concertazione che tanti danni ha provocato ai lavoratori, consentendo quel drenaggio dei redditi operai verso il profitto e la rendita, cosa oramai ampiamente riconosciuta e non solo in CGIL, ma fu anche l’artefice delle regole per l’elezione delle RSU. I limiti di quelle regole furono quelle di essere state concepite e modellate in funzione delle organizzazioni confederali CGIL, CISL e UIL, che, con la quota di riserva del 33 per cento, si auto tutelavano anche nella elezione diretta dei rappresentanti, ma in positivo si introduceva il concetto che la rappresentatività non era data più  dal solo dato associativo. Pur con i pesanti limiti che abbiamo evidenziato e che in parte ne depotenziavano il valore democratico, con questi nuovi organismi si ha una cessione di potere sindacale dalle strutture sindacali a quelle di rappresentanza diretta e generale di tutti i lavoratori. Se anziché generalizzare le RSU libere dai limiti del protocollo, si arrivasse, al loro superamento, si consoliderebbe un’idea di democrazia sindacale  delegata, dove così come stanno facendo CISL e UIL in questi anni, le decisioni vengono prese dai vertici sindacali senza nessun confronto con i lavoratori che si pretende di rappresentare, né tanto meno sottoponendo al loro consenso le scelte operate. Noi crediamo che in particolare nel mondo del lavoro sia necessario affermare un meccanismo decisionale che si basi su modalità che consentano ai lavoratori di poter esprimere le loro idee, manifestare il loro consenso o il loro dissenso, e ciò sia sulla costruzione delle piattaforme, sia nei momenti cruciali delle trattative quando si determinano le condizioni per richiedere una modifica al mandato ricevuto, sia sulla conclusione delle trattative e sugli accordi. Consapevoli che la democrazia è un processo lento che richiede confronto, ricerca della condivisione e che si conclude con la consegna delle decisioni a chi sarà oggetto delle stesse. In questa prospettiva le assemblee assumono un ruolo centrale per sviluppare i percorsi democratici e pertanto nel riconfermare che le ore di assemblea sono un diritto del singolo lavoratore, la potestà per l’esercizio di questo diritto deve essere estesa sia a gruppi di lavoratori con la richiesta di firme pari al cinque per cento degli addetti per aziende fino a 1000 lavoratori e valori decrescenti fino al 2% per aziende che superano i 5000 addetti, sia alle RSU congiuntamente sia disgiuntamente. Il dispiegamento di questi processi democratici assegnano ruolo alle assemblee per la discussione delle bozze di piattaforma e diventa strumento indispensabile per la definizione dei  mandati alla sottoscrizione degli accordi. Tutto l’iter della democrazia diretta trova logica conclusione nell’assunzione del referendum quale unico strumento per la ratifica degli accordi oggetto dei mandati.   Nel merito dello strumento referendario nell’ambito sindacale rimane profonda, netta e non mediabile la nostra contrarietà al suo utilizzo per tutte le questioni che riguardano i diritti indisponibili, per i quali peraltro è necessario una loro riaffermazione in considerazione che oggi vi è una pratica che tende a depotenziare, con gli accordi in deroga, quello che la giustizia del lavoro sia nella pratica e sia nella normativa civilistica aveva  recepito. Ci riferiamo in particolare alla non validità delle rinunzie e delle transazioni che hanno per oggetto diritti dei lavoratori derivanti da disposizioni inderogabili della  legge e dei contratti o accordi collettivi. Esplicitando, si tratta di riaffermare che nell’ambito della gerarchia degli accordi e della legge, non sia possibile che accordi  di un livello definiscano un peggioramento dei diritti definiti in accordi, contratti e/o norme sovraordinate.
Esattamente il contrario di quello che avviene nella attuale  stagione degli accordi separati avviati da CISL e UIL.

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